venerdì 25 marzo 2011

In viaggio verso San Jago De Compostella (Da Burcei alla ricerca di me stesso)



E' molto difficile, presente nel mio corpo causale, in attesa di una prossima reincarnazione, fare il bilancio delle mie precedenti esistenze. La Legge del Karma  mi assegnerà altre lezioni da imparare, prima d'essere libero, chiudere questa ruota. Molto mi resta da percorrere, sulla strada che mi condurrà a Shamballa, dove risiede la gerarchia bianca dei Signori del mondo.
Nell'eterno presente, vedo nitidamente il viaggio, era l'anno 1308 d. C., che mi condusse a S. Giacomo di Compostella. Itinerario che purificò il mio spirito, metafora di quello, più grande ed importante, fra i sette pianeti sacri, esposto all'influsso benefico dei loro sette raggi.
Avevo abbandonato BURCEI, dopo aver compiuto la grande Opera alchemica. La domus Templare di S. Restituta, nella bella e assolata Karalis, retta dal venerabile maestro Tancredi. L'ordine era allo sbando. L'anno precedente, in Francia, Filippo il Bello aveva fatto arrestare tutti i fratelli, compreso il Gran Maestro Jacques De Molaj. Veniva meno la protezione dei Pisani, preoccupati del prossimo arrivo dell'Infante Alfonso d'Aragona, che rivendicava il possesso di tutta l'Isola, assegnata al suo augusto genitore dal Papa Bonifacio VIII..
Mi sentivo come una cane senza padrone, ramingo, gravato dal peso dei miei peccati.
Quella mattina del 24 giugno, stanco dalla precedente notte di veglia in onore di S. Giovanni Battista,  attraversando le porte che menavano al porto, raggiunsi il quartiere di Lapola. 

Vestito da contadino, abbandonati i miei abiti e il bianco mantello del mio ordine, cercai un possibile imbarco che mi conducesse in salvo. Molti fratelli erano stati accolti in altri ordini
monastici, altri avevano preferito aspettare.
Nel porto vi era una sola nave, le sue insegne indicavano una provenienza Amalfitana. Mi infusi coraggio, parlai con alcuni marinai intenti a riparare le velature, riuscendo a guadagnare un colloquio con il comandante. Egli era Erasmo d'Amalfi, burbero, irsuto e spicciativo marinaio, dal viso cotto dal sole e forgiato dalle intemperie. Più che delle mie pretese competenze marinaresche fu convinto ad accettarmi grazie a cento bisanti (se pure moneta poco apprezzata) che fui in grado di versargli.
- Tu stai sicuramente scappando da qualcosa o da qualcuno - mi disse, con malcelata malizia nello sguardo, - Ma sembri un bravo giovine. Mi assicurò che il bastimento sarebbe partito quella notte stessa, con un carico del rinomato olio di Dolia, diretto a La Rochelle, nel nord della Francia, posto non  molto sicuro per un Templare.

Mentre occupavo posto sui banchi di voga, maturai l'intento, appena arrivato in terra Francese, di cercare di raggiungere il passo di Roncisvalle, per poi trovare rifugio in Portogallo. In quella terra, nell'inespugnabile castello di Tomar, il Re Dinis, aveva offerto rifugio a tutti i fratelli perseguitati.

In quei lunghi giorni, con il corpo dolorante dall'incessante esercizio
della voga, legato al mio pesante remo, feci ammenda dei miei errori. Peccati miei personali, che non intaccavano la purezza dell'ordine, attaccato da ignominiose e false accuse. Pieno d'orgoglio, ottenebrato e sviato da  molti manoscritti della biblioteca, avevo creduto di raggiungere la salvezza, la gnosi, studiando il segreto Vangelo di Didimo.
Per intere notti, compulsando oscuri testi alchemici,

avevo rincorso, coninsuccesso, la creazione della pietra filosofale.  
Avevo, alimentando il fuoco sotto l'athanor (crogiolo degli alchimisti), 
atteso invano che la
nigredo di mutasse in albedo, non ero riuscito a sconfiggere il drago.
Ma, peccato ancora più odioso, per me che avevo fatto voto di castità, era
stato cercare requie nell'amore carnale di una donna. Fra le braccia di
Celestina, credendomi puro perché liberato dalla conoscenza, vedevo il lei la Sophia. Fra le sue cosce tornite, cercavo il rebis, l'umbiculus mundi,
mi pareva di arrivare al compimento della Grande Opera. Vanità delle vanità.

Arrivati a La Rochelle, porto dal quale i fratelli di Francia, con la loro
poderosa flotta, salparono verso i generosi lidi di Scozia, mi incamminai
verso sud, Roncisvalle era lontana, periglioso il cammino. Ad un prezzo
esagerato riuscii ad avere un cavallo, un vecchio ronzino che un contadino mi cedette, ottenendo un insperato guadagno. Per non destare sospetti mi travestii da Jaquarie, pellegrino di S. Giacomo, bordone, cappuccio con l'immancabile conchiglia in evidenza sulla parte anteriore dello stesso, erano le mie insegne. A forza di mentire, mentre chiedevo la strada a sospettosi villici, maturò in me la convinzione che il Santuario di Compostella era veramente la mia meta. Dovevo espiare i miei peccati, rigenerare la mia anima, riconciliarmi con Dio. Volevo recuperare la mia dimensione spirituale.

Giorni e notti di disperato cavalcare, sperando che il mio palafreno non
cedesse, rubando la frutta dai campi, mi condussero, finalmente a Roncisvalle.
Avevo deciso di arrivare sino a S. Jago. Rivedo ancora il mio itinerario,
le situazioni, i pericoli, le facce dei molti pellegrini che incontrai.
A S. Giovanni de la Pena, vicino al passo di Somport, dalle parole di un
monaco Cluniacense, Bernardo di Moissac, capii che il mio istinto d'autoaffermazione mi aveva reso incline alla violenza, alla lotta, all'egoismo ed alla sopraffazione degli altri. A Burgos, nei pressi del santuario di S. Colomba, fui colpito
dal raggio d'amore-saggezza: capivo che dovevo riuscire ad essere in comunione spirituale con tutti gli esseri viventi, e sviluppare l'intelligenza del cuore.
Il fuoco creatore dello Spirito Santo, portatore dell'intelligenza attiva,
mi stava aiutando, col suo raggio d'armonia attraverso il conflitto, a farmi
fare il salto, superando la dualità spirito -  materia, verso una nuova coscienza.
A Fromista, ancora lontano dalla mia meta, incontrai un vecchio. Era molto
stanco. Mi disse che veniva da molto lontano. Divisi con lui le mie poche
provviste. - Caro Ragazzo, - mi disse, - per tutta  mia lunga  vita ho cercato
solo il lato materiale delle cose, manifestando un sincero disgusto per
i sentimenti. Ho sempre aborrito ogni pulsione artistica e mistica. Il mio
pellegrinaggio, prima della mia prossima morte, è il  tentativo di sondare
questi sentimenti che non ho mai sperimentato.
Non sapevo cosa rispondere. Mi venne da dire : - Caro amico, anche io ho
sbagliato, anche io ho molto da imparare; penso che la tua sete di sapere,
sino ad ora orientata verso la materia, ti condurrà, certamente, a sperimentare
la dimensione metafisica, scoprendo la sensibilità e la compassione. Anche tu, ne sono sicuro, giungerai a scorgere la presenza di Dio in ogni essere vivente, a captare il suo amore. Il vecchio, colpito dalle mie parole, mi abbracciò e pianse.
Giunto a San Zolio di Carrion  mi fermai un poco a pregare, scoraggiato
da un profondo senso di futilità, capivo di essere in una situazione di
crisi. Era scomparso il mio fanatismo, il mio attaccamento a me stesso,
ma sentivo una forte separatezza dalla Divinità, la  verità era ancora lontana.
Dopo aver toccato Irago, Cerbero, Sahagun, arrivai al campus stellae, vicino
al luogo di sepoltura di S. Giacomo. Figlio di Zebedeo e di Salome, nativo
di Betsaida, pescatore, che, dopo aver convertito nella terra di Spagna
molti pagani, fu il primo apostolo martire. A lui, che era chiamato Boanerges, figlio del tuono, chiesi aiuto e consiglio. Capii che solo con la meditazione, lo studio dei testi sacri, la disciplina atta a purificare il corpo e la mente, potevo rinascere. Ora lo so, il mio Sahasrara, settimo chakra, posto alla sommità del mio capo, era ancora chiuso, non era ancora in contatto con la monade. Molte vite, nell'incessante tentativo di raggiungere l'illuminazione, sperimentare la connessione con il  Tutto, dovevo ancora vivere. 


By ROBERTO PINNA

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